L’inquinamento atmosferico: numeri di una pandemia slow motion

L’inquinamento atmosferico è un problema globale che richiede la massima attenzione in virtù delle conseguenze che causa tanto all’ambiente quanto agli esseri umani.

Sono palesi gli effetti negativi dell’inquinamento ambientale sull’uomo. Decenni di studi hanno rilevato la forte connessione fra alcuni tipi di malattie e livelli elevati di inquinanti atmosferici.

Decessi diretti e indiretti che si traducono in numeri di una vera e propria lenta pandemia. Come se non bastasse, i livelli di particolato atmosferico inquinante (PM) giocano un ruolo di primo piano anche nel determinare lo sviluppo pandemico attuale da Covid-19.

Facciamo il punto della situazione analizzando studi scientifici e dati concreti sulle conseguenze a lungo termine dell’inquinamento ambientale.

La triste conta dell’inquinamento atmosferico outdoor

È indubbio come l’attenzione mondiale, da un anno a questa parte, sia rivolta all’attuale pandemia virale.

Come dichiarato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, la pandemia da Covid-19 rappresenta la più importante crisi dai tempi della seconda guerra mondiale.

Ogni giorno vengono snocciolati in dettaglio i numeri di questa pandemia, facendo la conta dei positivi e dei decessi.

Ampliando gli orizzonti, sono comunque molte le morti causate da agenti e fenomeni con i quali praticamente da sempre familiarizziamo, ma a cui effettivamente non abbiamo mai dato la giusta attenzione.

In tema di inquinamento ambientale, il rapporto Europeo del 2019 “Healthy environment, healthy lives: how the environment influences health and well-being in Europe”, fornisce un dato alquanto preoccupante.

Circa il 13% dei decessi registrati ogni anno nell’Unione Europea è causato dall’inquinamento atmosferico. In pratica, è accertato che, 1 decesso su 8 sia attribuibile all’inquinamento ambientale. 

Facendo un passo indietro, già nel 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenziava dati critici secondo i quali nel 2012, il 13% di tutti i decessi nell’UE era imputabile all’ambiente: più di 600.000 morti.

L’Agenzia Europea per l’Ambiente (dati di novembre 2011) indica in circa 520.000 le morti premature dovute all’inquinamento atmosferico. Più dell’80% riconducibili al particolato PM2.5 (seguono ozono e biossido di azoto).

Il particolato atmosferico PM2.5 è quindi una delle principali cause di decessi dovuti all’inquinamento atmosferico. A questo si aggiungono:

  1. La scarsa qualità dell’aria interna, correlata alla combustione di combustibili solidi, si traduce in quasi 26.000 decessi prematuri ogni anno;
  2. acustico, che causa 12.000 morti premature all’anno e contribuisce a 48.000 nuovi casi di cardiopatia ischemica.

Poiché la maggior parte degli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute sono cronici, ovvero a lungo termine e dopo un’esposizione prolungata a livelli di concentrazione anche lievi, non è un azzardo parlare effettivamente di una “pandemia in slow motion”.

Inquinamento atmosferico indoor: pericoli e conseguenze

Nel 2009 l’OMS, nel suo contributo dedicato ai rischi globali per la salute, evidenzia come l’inquinamento indoor sia responsabile del 2,7% del carico globale di malattia nel mondo.

Alcuni dati del NEMIC e dell’OMS sono emblematici:

  • Il 30% delle persone ospitate in edifici non residenziali è colpito da forme di malessere;
  • Il 50% degli impianti di ventilazione è insalubre;
  • Circa il 50-80% degli edifici commerciali non raggiunge costantemente gli standard di conformità per una qualità dell’aria interna accettabile (NIOSH 1998).

Facendo un focus sull’Europa, l’inquinamento indoor è responsabile del 4,6% delle morti per tutte le cause nei bambini da 0 a 4 anni, per infezioni respiratorie acute.

Inoltre, in alcuni Paesi europei, il 20-30% delle famiglie ha problemi di umidità nelle abitazioni con un conseguente aumento del 50% del rischio di disordini respiratori e il 13% di casi di asma infantile.

È quindi l’ambiente domestico il principale teatro dell’esposizione ad inquinanti in grado di compromettere la salute.

Inquinamento dell’aria indoor e fonti di rischio

Negli ambienti indoor, non c’è dubbio che il fumo passivo rappresenta uno delle principali fonti di rischio.

Secondo uno studio del 2010 sul carico mondiale di malattia dovuto all’esposizione al fumo passivo, nel 2004 più di 600 mila morti l’anno nel mondo sono stati causati dal fumo passivo, pari all’1% di tutti i decessi; 165 mila di queste morti hanno riguardato bambini.

Nel 2004, nel mondo erano esposti al fumo passivo il:

  • 40% dei bambini;
  •  33% dei maschi non fumatori;
  • 35% delle donne non fumatrici.

Nello specifico, questa esposizione ha causato: 379 mila decessi per malattie ischemiche del cuore, 165.000 decessi per infezioni delle basse vie respiratorie, 36.900 decessi per asma, 21.400 decessi per tumore ai polmoni.

Il fumo vuol dire però anche utilizzo di stufe e camini. Secondo una ricerca dell’OMS, nel 2012 si sono verificati 4,3 milioni di decessi prematuri nelle famiglie in cui esisteva la consuetudine di cucinare con stufe o camini a carbone, a legna o a combustibile di biomasse.

Si tratta di prodotti che producono fumo e che spesso comportano un’ampia quantità di inquinamento domestico, soprattutto quando l’ambiente è scarsamente ventilato.

In tema economico, lo studio JRC del 2011 ha analizzato l’impatto economico della qualità dell’aria indoor, valutando le principali patologie attribuibili all’esposizione a inquinanti indoor, ovvero:

  1. Asma
  2. Carcinoma polmonare
  3. Bronchite cronica ostruttiva
  4. Infezioni/sintomi respiratori
  5. Intossicazione acuta.

Lo studio ha quantificato l’impatto attribuibile all’inquinamento indoor in circa 2 milioni di DALY (Disability-Aadjusted Life Year) per anno.

Per approfondire l’argomento, scarica il report completo per comprendere il costo reale della scarsa qualità dell’aria negli ambienti indoor.

 Un capitolo a parte meriterebbero poi gli impianti aeraulici nel migliorare e in qualche caso peggiorare le condizioni della qualità dell’aria.

Se ti interessa saperne di più sul tema, puoi leggere numerosi articoli di approfondimento sul blog Aria Sicura.

Covid-19 e inquinamento atmosferico oggi: il ruolo del particolato

Come se non bastasse quanto detto finora, l’inquinamento atmosferico purtroppo gioca un ruolo decisivo e negativo anche in questo contesto pandemico.

Per quanto riguarda il legame tra inquinamento dell’aria e infezioni respiratorie, ormai molte ricerche mostrano che l’elevata concentrazione di inquinanti atmosferici provoca un aumento nei tassi di ospedalizzazione per queste malattie.

Tra tutti gli inquinanti, è da tempo nota inoltre la nocività nel tratto respiratorio del particolato di tipo PM2.5 e PM10.

Secondo uno studio dell’ARPA dell’Emilia Romagna, le principali fonti di particolato includono soprattutto

  • Merci su strada;
  • Agricoltura;
  • Allevamenti;
  • Riscaldamento a legna;
  • Industria;
  • Veicoli leggeri.

L’Italia è tra i paesi europei con il maggior numero di decessi da PM2.5 e biossido di azoto (legati proprio a questo tipo di attività e inquinamento).

Vista l’elevata mortalità riscontrata nei siti industriali contaminati, nonché il recente rapido aumento dei decessi in zone fortemente industrializzate (Bergamo e Brescia), è più che lecito supporre il ruolo dell’inquinamento atmosferico nell’aumento della mortalità da Covid-19.

Le zone con elevato inquinamento atmosferico evidenziano sempre un peggioramento della prognosi delle malattie respiratorie croniche e di quelle infettive e un aumento della mortalità.

Uno studio cinese suggerisce proprio che la variabilità geografica della mortalità dell’epidemia di SARS in Cina, a partire dal novembre 2002, potrebbe essere in parte spiegata dal forte inquinamento atmosferico.

Per quanto riguarda il particolato, studi scientifici individuano nel PM2.5 il maggior responsabile della mortalità nei pazienti affetti da malattie respiratorie infettive. 

Il dettaglio di questa relazione è descritto in uno studio condotto in Italia sull’associazione tra i tassi di incidenza di Covid-19 e l’esposizione a PM2.5 e NO2.

Un ruolo importante sembrerebbe rivestirlo la proteina ACE2, prodotta per difendersi dalle elevate polveri atmosferiche.

Nello studio si legge che gli individui permanentemente esposti a livelli medi o alti di PM2.5 (zone con alto inquinamento atmosferico) sviluppano, per una alta espressione di ACE2, una sorta di automatica protezione contro l’infiammazione polmonare prodotta da PM2.5 per la micidiale composizione chimica di questa miscela di microinquinanti.

Tale particolarità, tuttavia, può non risultare del tutto utile e vantaggiosa nel caso in cui, come accade col Covid-19, il virus responsabile della malattia utilizzi proprio l’ACE2 come recettore della internalizzazione cellulare.

Dunque, ACE2 è la ‘serratura’ attraverso la quale il Covid ‘inganna’ la cellula umana, penetra al suo interno, la infetta e, conseguentemente, innesca tutto il processo patologico che caratterizza il quadro clinico.

L’inquinamento atmosferico, soprattutto quello di un ambiente chiuso, costituisce un pericolo serio per la salute di chi vive e frequenta quegli ambienti. Come prevenirlo? Con un monitoraggio costante della qualità dell’aria indoor e non solo.

Una qualità accettabile dell’aria indoor si può ottenere anche e, soprattutto, pianificando un’accurata disinfezione degli impianti areaulici, che contribuisce a ridurre la concentrazione di inquinanti e  patogeni aerodispersi.

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